RAPPORTO DI LAVORO - LICENZIAMENTO DISCIPLINARE - Cass. civ. Sez. lavoro, 05-07-2018, n. 17680

RAPPORTO DI LAVORO - LICENZIAMENTO DISCIPLINARE - Cass. civ. Sez. lavoro, 05-07-2018, n. 17680

In materia di licenziamento disciplinare, l'immediatezza della contestazione va intesa in senso relativo, dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo – quali il tempo necessario per l'accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell'impresa – aziendale, e la valutazione in proposito compiuta dal giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici. (Nel caso di specie, rigettando il ricorso di parte datoriale, la Suprema Corte ha ritenuto incensurabile la decisione impugnata con la quale la corte territoriale aveva ritenuto tardiva la contestazione disciplinare inoltrata dalla società ricorrente al lavoratore considerata l'acquisizione degli atti del procedimento penale risalente a ben cinque mesi prima rispetto alla predetta contestazione)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio - Presidente -

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni - Consigliere -

Dott. LORITO Matilde - Consigliere -

Dott. MARCHESE Gabriella - Consigliere -

Dott. BOGHETICH Elena - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14441-2016 proposto da:

TELECOM ITALIA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell'avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCO RAIMONDO BOCCIA, ROBERTO ROMEI, ENZO MORRICO giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

I.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell'avvocato PIER LUIGI PANICI, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

- controricorrente - avverso la sentenza n. 2398/2016 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 21/04/2016 R.G.N. 4580/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/03/2018 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l'Avvocato SCANU CESIRA TERESINA per delega verbale Avvocato MARESCA ARTURO;

udito l'Avvocato PANICI PIER LUIGI.

Svolgimento del processo

1. Con sentenza depositata il 21.4.2016, la Corte di appello di Roma, in sede di rinvio da parte di questa Corte (sentenza n. 22822 del 2015), ha ritenuto tardiva la contestazione disciplinare inoltrata dalla Telecom Italia s.p.a. - per attivazione di utenze mobili senza contestuale vendita dei telefonini cellulari ad esse abbinati - al dipendente I.M. il 25.6.2012 considerata l'acquisizione degli atti del procedimento penale (avviato nei confronti della lavoratrice) risalente a cinque mesi prima, ossia sin dal gennaio 2012.

2. La Corte distrettuale, richiamando una propria decisione precedente e relativa a fattispecie identica (in quanto concernente una collega dello I.), ha rilevato che la società era "di fatto" a conoscenza dei fatti disciplinarmente rilevanti sin da maggio 2010 (quando - nel rispetto dell'accordo collettivo 9.12.2003 - aveva potuto accedere al sistema informatico CRM che conteneva la traccia di tutte le attività svolte dai singoli operatori, ma non aveva potuto utilizzare tali dati ai fini della contestazione disciplinare in quanto vietato dal suddetto accordo collettivo) e, pertanto, non era ragionevole l'attesa di cinque mesi per l'inoltro della contestazione, considerato altresì che l'ulteriore richiesta di accesso agli atti penali formulata dalla società il 24.5.2012 era ultronea in quanto l'avviso di chiusura delle indagini era stato comunicato sin dal 27.4.2011 ed erano da tempo decorsi i termini di cui all'art. 415-bis c.p.p. 3. Per la cassazione della sentenza la società ha proposto ricorso affidato a tre motivi, cui ha resistito con controricorso il lavoratore. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione dell'art. 384 c.p.c., comma 3, (ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4) avendo, la Corte distrettuale, travisato l'accertamento demandato dalla Corte di Cassazione che si incentrava sull'esigenza di acquisizione formale dei dati del procedimento penale ai fini dell'instaurazione di quello disciplinare.

2. Con il secondo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. (ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte distrettuale, affermato che la società era a conoscenza dei dati contenuti nel sistema informatico CRM sin dal maggio 2010 pur non potendoli utilizzare (inutilizzabilità affermata già dalla Corte di appello nella sua prima sentenza e confermata altresì dalla lavoratrice nel ricorso per cassazione avverso detta sentenza, circostanza, pertanto, coperta da giudicato). La conoscenza giuridica di tali dati è stata, quindi, acquisita da Telecom Italia solamente a gennaio 2012, quando è stata autorizzata a prendere visione del fascicolo relativo alle indagini della Procura della Repubblica, in considerazione della preclusione posta dall'accordo sindacale del 2013.

3. Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 nonchè vizio di motivazione (ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5,) avendo, la Corte distrettuale, trascurato che il codice di rito (penale) non prevede un diritto (nè un obbligo) del querelante di attivarsi per estrarre copia del contenuto del fascicolo delle indagini se non dopo la notifica del decreto di citazione in udienza (evento non ancora verificatosi alla data di notifica del presente ricorso). Inoltre, successivamente alla notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari agli indagati l'art. 415-bis c.p.p. prevede un ulteriore lasso di tempo di 20 giorni per fare richieste o presentare memorie e, in tale prospettiva, si giustificava l'ulteriore accesso agli atti penali effettuato dalla società nel maggio 2012 per verificare il sopravvenire di tali eventualità. La Corte distrettuale non ha, inoltre, considerato che il quadro probatorio ricavato dagli atti penali non coincideva con i dati estratti dal sistema informatico CRM (e comunicati a maggio 2010 alla Polizia di Stato), restando, pertanto, giustificato il lasso di tempo di cinque mesi ai fini della valutazione di tutti gli accertamenti effettuati dalla Procura della Repubblica e dovendo sempre interpretare in modo relativo il principio di immediatezza della contestazione soprattutto a fronte della mancanza di profili di violazione del diritto di difesa della lavoratrice che ben aveva potuto approntare le proprie ragioni difensive a fronte dei capi di imputazione penale mossi nei suoi confronti.

4. I motivi di ricorso, che per ragioni di stretta connessione possono essere esaminati congiuntamente, non sono fondati.

In materia di licenziamento disciplinare, è principio consolidato quello secondo cui l'immediatezza della contestazione va intesa in senso relativo, dovendosi dare conto delle ragioni che possono cagionare il ritardo (quali il tempo necessario per l'accertamento dei fatti o la complessità della struttura organizzativa dell'impresa), aziendale, e la valutazione in proposito compiuta dal giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici (cfr. ex plurimis, Cass. n. 281 del 2016, Cass. n. 20719 del 2013).

Nella specie, la sentenza n. 22821 del 2015 di questa Corte aveva ritenuto comprensibile l'esigenza di acquisire dalla Procura della Repubblica gli atti del procedimento penale a carico dello I. (considerata l'inutilizzabilità, ai fini della contestazione disciplinare, dei dati forniti dal sistema informatico, alla luce delle previsioni dell'accordo collettivo del 2003) ma aveva richiesto alla Corte distrettuale di effettuare, in sede di rinvio, un accertamento più approfondito sulla ragionevolezza del termine trascorso tra la data di acquisizione di detti atti (27.1.2012) e l'inoltro della contestazione disciplinare (25.6.2012) a fronte della conoscenza dei suddetti dati sin dal momento dell'inoltro alla Procura della Repubblica (ossia sin da maggio 2010).

La Corte d'Appello, con congrua e corretta motivazione (il cui controllo di logicità è consentito alla luce dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella formulazione successiva alla novella introdotta con il D.L. n. 83 del 2012, conv. nella L. n. 134 del 2012, trattandosi di sentenza depositata dopo il giorno 11 settembre 2012), ha rinvenuto la tardività della contestazione rilevando che la società, pur non potendo utilizzare i dati estrapolati dal sistema informatico a maggio 2010 (ed inoltrati alla Procura della Repubblica), "di fatto" conosceva le circostanze ivi contenute sin da tale data e, conseguentemente, avendo acquisito ufficialmente tali dati dalla Procura della Repubblica a gennaio 2012 non era giustificata un'attesa di cinque mesi per inoltrare la contestazione disciplinare. Ha, inoltre, aggiunto che l'avviso della conclusione delle indagini preliminari, ex art. 415-bis c.p.p., era stato inoltrato all'indagata sin dal 27.4.2011 e quindi erano ampiamente scaduti i termini previsti per l'indagata stessa ai fini di ulteriori richieste o memorie, ditalchè (acquisiti di atti del procedimento penale a gennaio 2012) non si giustificava un ulteriore accesso agli atti penali da parte della società nel maggio 2012.

5. Infine, l'invocato giudicato interno concernente l'inutilizzabilità dei dati contenuti nel sistema informatico CRM, presuppone che la circostanza possa costituire oggetto, da sola, di autonoma pronuncia giurisdizionale e, quindi, possa non essere coinvolta da un'impugnazione incentrata sulla tardività della contestazione disciplinare e, per l'effetto, passare in giudicato.

Invece, la giurisprudenza di questa S.C. (non diversamente dalla più avvertita dottrina), al fine di selezionare le questioni (di fatto e/o di diritto) suscettibili di devoluzione e, per converso, di giudicato interno se non censurate con l'impugnazione, utilizza la locuzione di "minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno", che consiste nella sequenza logica "fatto - norma - effetto giuridico", cioè nella statuizione che affermi l'esistenza d'un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico (v., in motivazione, n. Cass. n. 2217 del 2016; Cass.n. 14670 del 2015; Cass. n. 4572 del 2013; Cass. n. 16583 del 2012; Cass. n. 16808 del 2011; Cass.n. 27196 del 2006).

Benchè ciascun elemento di tale sequenza possa essere singolarmente investito di impugnazione, nondimeno l'impugnazione (nel caso in oggetto avanzata con il precedente ricorso dalla lavoratrice) motivata in ordine anche ad uno solo di essi (la tardività della contestazione disciplinare) riapre per intero l'esame di tale minima statuizione, consentendo al giudice dell'impugnazione di riconsiderarla tanto in punto di fatto, attraverso una nuova valutazione degli elementi probatori acquisiti, quanto in punto di diritto individuando una diversa norma sotto cui sussumere il fatto o fornendone una differente esegesi.

Dunque, sul punto non si era verificato giudicato alcuno.

6. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall'art. 91 c.p.c..

Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, da distrarsi.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2018


Avv. Francesco Botta

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